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Ciao!
Benvenuto alla quarta edizione di "Report Review" la newsletter uffciale dello Starting Finance Club Statale!
Il report di questa settimana analizza le spese militari sostenute dai Paesi membri della NATO e la loro difficoltà a soddisfare il requisito minimo imposto dall’alleanza.
Good Morning NATO
«Non avete pagato, siete morosi, non vi proteggeremo». Donald Trump, ex-presidente statunitense e candidato per i repubblicani alle elezioni del prossimo autunno, in un comizio nel South Carolina del febbraio scorso, ha riportato una conversazione avuta con un capo di Stato durante una riunione della NATO in cui, senza remore né dubbi, ha affermato, in caso di invasione russa, che non sarebbe stato disposto ad intervenire a difesa di uno degli Stati membri del Patto, se questo non fosse risultato adempiente delle spese stabilite dall’Alleanza.
Le parole di Trump sono chiaramente provocatorie, ma, nonostante le rassicurazioni del presidente USA Biden e di Stoltenberg, segretario della NATO, rispetto all’infondatezza di tale presa di posizione, queste rappresentano uno spunto di riflessione da non sottovalutare per le Nazioni che nel corso di questi 75 anni sono entrate a far parte dell’Alleanza Atlantica; in particolar modo l’Europa, la quale si trova nuovamente in una posizione politicamente e geograficamente scomoda rispetto agli sviluppi che stanno coinvolgendo il panorama geopolitico internazionale negli ultimi anni.
L’Articolo 5 del Trattato sembra escludere uno scenario simile, dal momento che viene testualmente stabilito che «un attacco armato contro una o più delle parti in Europa o nell'America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti»; nonostante ciò, resta comunque un tema molto delicato, soprattutto tenendo conto dell’ampio consenso di cui gode Trump e dell’esperienza che ci ha lasciato la storia rispetto ai patti fra Nazioni, i quali possono essere stravolti dalla furia bellica tanto da annichilire il confine fra amici e nemici.
Le spese per la difesa dell’Italia
Le linee guida dell’Alleanza stabiliscono che gli Stati membri debbano investire nella difesa almeno il 2% del proprio Pil: ad oggi sono 21 - su un totale di 32 - le Nazioni che non riescono a soddisfare tale requisito, e fra queste c’è anche l’Italia. Negli ultimi 10 anni, ha sì aumentato la sua spesa militare - dal 1.1% al 1.5% del Pil - ma non ancora in modo da risultare allineata alle richieste sopracitate.
Nonostante la crescente tensione fra Paesi, nel 2023, l’Italia, la quale figura inoltre tra i fondatori del Patto, ha speso 28.6 miliardi per la difesa (pari a circa l’1.46% del Pil); mentre nel 2024, per riuscire ad adempiere alla richiesta del 2%, dovrebbe investire circa 39.2 miliardi; nonostante ciò, secondo i dati del Documento programmatico pluriennale della Difesa per il triennio 2023-2025, si prevede che l’Italia riuscirà a spendere l’1.43% nel 2024 - facendo registrare un trend negativo - per poi aumentare la spesa all’1.45% del Pil nel 2025.
Anno | Percentuale di PIL italiano speso per la difesa |
2023 | 1.46% |
2024 | 1.43% |
2025 | 1.45% |
Nel dettaglio, la spesa italiana copre in misura maggiore gli stipendi dei soldati NATO: il governo italiano vi investe infatti circa il 61% della spesa totale, posizionandosi al di sopra della media UE, e figura inoltre tra gli Stati che spendono meno in equipaggiamenti ed armamenti - circa il 23% del totale -, mentre il restante 16% viene destinato ad altri settori.
Rispetto a questo tema, nella giornata di mercoledì 8 maggio, la premier Meloni ha incontrato a Roma Stoltenberg per discutere sulle vicissitudini che stanno e possono coinvolgere nell’immediato futuro la NATO: il segretario dell’Alleanza ha ribadito la necessità di «ottenere una più equa condivisione degli oneri» facendo pressione sul contributo, come s’è detto, insufficiente del nostro Paese, soprattutto alla luce delle recenti richieste degli Stati Uniti. Fra gli ostacoli più ingombranti, oltre a quelli di natura prettamente economica, vi è la posizione dell’opinione pubblica, la quale appare fortemente divisa sul tema; a ciò va addizionata l’esitazione all’interno del governo stesso: in prima linea il vice premier Salvini, il quale ha sempre dimostrato una posizione ambigua rispetto al coinvolgimento dell’Italia in questioni belliche.
Le spese militari nel resto del mondo
Come l’Italia, gran parte delle Nazioni europee che fanno parte del Patto oscillano fra l’1% ed l’1.5%, risultando così inadempienti e, secondo le recenti dichiarazioni di Trump, potenzialmente scoperte in caso di invasione nemica; fra queste Francia, Germania, Belgio, Spagna, Danimarca e Portogallo, ma non sono le sole.
Le 11 nazioni che invece risultano attualmente adempienti e che di fatto si stanno facendo carico in misura maggiore della sicurezza delle restanti 21 sono Polonia (3.9%), Grecia (3.01%), Estonia (2.73%), Stati Uniti (2.49%), Lituania (2.45%), Finlandia (2.45%), Romania (2.44%), Ungheria (2.43%), Lettonia (2.27%), Regno Unito (2.07) e Slovacchia (2.03%).
Allo stato attuale, le misurazioni sulla spesa dei vari Paesi del mondo mostrano che, almeno sulla carta, la NATO, nonostante i contributi impari dei suoi membri, non abbia rivali; tale sicurezza non è però riscontrabile nella percezione che le persone hanno della situazione: sfiducia, incertezza e preoccupazione sono alcuni dei sentimenti in cui si identificano gli abitanti dei Paesi coinvolti in questo vortice di tensione, senza considerare la delusione e la rabbia nei confronti di uomini che, nonostante abbiano nelle loro mani gli strumenti per garantire la pace, sembrano restii a maneggiarli con la dovuta cura.
Fra le diverse motivazioni che hanno determinato tale senso di insicurezza collettivo, vi è indubbiamente l’assenza di un’invasione straniera all’interno dei confini europei da quasi 80 anni, la quale ha fortunatamente disabituato le generazioni post Seconda Guerra Mondiale agli orrori che hanno contraddistinto una grande parte della storia dell’umanità: una condizione di pace prolungata non può che rendere di fatto inconcepibile l’idea stessa di guerra, così come da una condizione di guerra perenne ne consegue l’incapacità di figurarsi quale sia il significato di pace (“La guerra è pace”, G. Orwell, Nineteen Eighty-Four).
Dati gli sviluppi degli ultimi due anni - si pensi al conflitto russo-ucraino ed alla Guerra a Gaza - appare chiaro come non si tratti più di un timore distante ed inconsistente, ma di una paura vera e tangibile; a 75 anni dalla nascita della NATO, sono diverse incombenze che ne minano la stabilità, tanto che sembra essersi riacceso il dibattito sulla possibilità di introdurre un sistema di difesa comune UE: che possa essere questa una soluzione per costituire un’autonomia militare che vada ad integrarsi con quell’ancora imperfetta autonomia politica?
Il requisito richiesto da Stoltenberg - e dai suoi predecessori - non è più da considerarsi come un traguardo, ma piuttosto un minimo da cui partire per incrementi ancora maggiori: l’approdo ad una fase distensiva rimane in ogni caso la soluzione più sperata, ma è evidente che, allo stato attuale, si stia remando in direzione opposta, e, di fronte a tale possibilità, i Paesi del non più tanto anacronistico Blocco occidentale sono concordi sul fatto che sia ormai necessario essere preparati a qualsiasi scenario il futuro possa riservarci: si vis pacem, para bellum.
Autore: Alessandro Liberati - Caporedattore: Tommaso Topa