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La Guerra dei Chip: Analisi delle Ripercussioni Economiche e Finanziarie delle Politiche USA-Cina
Di Gianluca Elli - Starting Finance Club Statale

Introduzione
Negli ultimi anni, il settore dei semiconduttori è emerso come uno degli ambiti più strategici e critici nell’economia globale, specialmente per il suo ruolo centrale nello sviluppo dell’intelligenza artificiale (AI), delle tecnologie di comunicazione e dell’industria della difesa. Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, inaspritesi ancora di più durante la presidenza di Donald Trump, hanno avuto un impatto significativo su questa industria. In particolare, l'introduzione di dazi su una vasta gamma di prodotti tecnologici e le restrizioni sull'esportazione di chip avanzati hanno inaugurato una nuova fase di competizione tecnologica tra le due superpotenze.
I semiconduttori non sono solo componenti hardware: rappresentano la chiave per la leadership nell'innovazione digitale e militare. In questo contesto, le misure adottate dagli Stati Uniti per limitare l’accesso della Cina a tecnologie di punta sono state interpretate come uno sforzo per mantenere il primato tecnologico e tutelare la sicurezza nazionale. Parallelamente, le aziende leader come NVIDIA, AMD e Intel si sono trovate esposte a nuovi rischi e opportunità, dovendo ricalibrare le proprie strategie commerciali e di produzione. In questo Paper analizzerò l’impatto di queste politiche sull’industria dei chip e sull’evoluzione del mercato dell’AI, con particolare attenzione alle conseguenze sulle principali aziende statunitensi del settore.
Le mosse di Trump rischiano di essere una duplice autosabotaggio per gli USA: da una parte è difficile che i dazi riescano a portare la produzione di chip sul territorio domestico, dall’altro rappresentano un grosso freno alla corsa all’intelligenza artificiale, compromettendo la, fino ad ora, indiscussa leadership delle aziende statunitensi.1
Riportare un’intera filiera di dimensioni globali sul territorio statunitense non è un’impresa da poco: TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company) ha annunciato lo scorso marzo un investimento di cento miliardi di dollari per la costruzione di una fabbrica di chip negli USA, questa mossa ha lo scopo evidente di eludere i nuovi dazi, ma di certo non consentirà di raggiungere la leadership nella produzione di chip. Uno stabilimento di tali proporzioni non si costruisce dall’oggi al domani e, anche una volta ultimato, occorreranno anni per sviluppare un comparto così complesso da zero. Inoltre, la produzione interna non sarebbe comunque più conveniente, neanche in uno scenario di dazi al 32% come quello attuale. Nel frattempo, chiunque utilizzi chip importati si ritroverà a pagare un conto salato.
Il rischio più elevato si avrebbe nel caso i dazi fossero calcolati sulle singole componenti delle schede importate: una singola scheda grafica di NVIDIA è composta da chip prodotti a Taiwan o Korea del Sud, testati e imballati in Malesia o nelle Filippine per finire con l’essere assemblati su circuito stampato ancora a Taiwan o in Messico.2
Il risultato è un aumento smisurato dei prezzi, con conseguente impatto sulla domanda di data center.
L’impatto delle tariffe su NVIDIA
NVIDIA rappresenta uno dei casi più emblematici di come i dazi possano amplificare le vulnerabilità di una società globalizzata. Già a partire dal 2024, l'azienda aveva iniziato a registrare un rallentamento nella crescita dei ricavi, solo parzialmente attribuito alle restrizioni sull'export verso la Cina; con l'introduzione di tariffe aggiuntive sulle importazioni di componentistica chiave, il quadro si è ulteriormente deteriorato.
Le GPU di NVIDIA, come le serie H100 e A100, fondamentali per le applicazioni AI, vengono prodotte principalmente da TSMC a Taiwan e poi testate in vari paesi asiatici prima di essere assemblate. Questo processo multi-paese espone ogni fase produttiva a dazi cumulativi, che possono aumentare i costi finali del prodotto fino al 25-30%. Secondo le stime di mercato, il prezzo medio di vendita (ASP) delle GPU destinate ai data center potrebbe crescere del 10-15% rispetto al 2023, comprimendo i margini oppure frenando la domanda, a seconda della strategia di pricing adottata.
A complicare ulteriormente il quadro, circa il 20-25% dei ricavi di NVIDIA proviene ancora dalla Cina, un mercato ora più difficile da servire sia per restrizioni normative sia per rincari dovuti ai dazi. La strategia puntava molto sulle vendite del processore H20, versione meno potente degli H800 e H100, pensata per rispettare le restrizioni messe in atto dall’amministrazione Biden. Tuttavia, l’imposizione di una licenza per l’esportazione anche per l’H20 costringe a rivedere significativamente le stime sui prossimi risultati.3
L'effetto combinato di export ban e tariffe rischia di rallentare l’espansione di NVIDIA proprio nel segmento dell'intelligenza artificiale, oggi il motore principale della sua capitalizzazione, che ha superato il trilione di dollari nel 2024. La volatilità del titolo, che ha perso circa il 10% in seguito all'annuncio delle nuove misure tariffarie e un ulteriore 7% dopo aver stimato oneri per 5,5 miliardi di dollari, riflette la crescente sensibilità del mercato a questi rischi.4 In questo contesto, le pressioni sui margini e il rallentamento della crescita internazionale potrebbero ridimensionare le attuali valutazioni iperboliche dell’azienda, come quella di Goldman Sachs, che vede un target price “monstre” di 800$.
Stime più verosimili vedevano un consensus per un target price di 190$, i più ottimisti a 220$, prima dell’entrata in vigore dei dazi, mentre ora il consensus medio è sceso a 171,10$. Con il titolo che in questo momento scambia a 102,71$, la maggior parte degli analisti conferma il rating buy, con l’analisi tecnica che segnala un primo supporto a 86,70$ e una prima resistenza a 117,70$.
Se si è disposti a tollerare l’incertezza e i nuvoloni all’orizzonte, i crolli di questo ultimo periodo sono un’ottima possibilità di entrata, al contrario chi ha acquistato il titolo ai massimi potrebbe passare notti insonni, ma in questi casi la prudenza e la pazienza premiano sempre.
L’impatto delle tariffe su AMD
Anche AMD si trova in una situazione critica, sebbene con sfumature differenti rispetto a NVIDIA. La società ha recentemente avvertito gli investitori che le nuove restrizioni USA sulle esportazioni verso la Cina potrebbero causare una perdita diretta fino a 800 milioni di dollari nei ricavi 2025, pari a circa il 7% del fatturato annuale previsto. Gli effetti delle tariffe si sommano a questa dinamica: la produzione delle CPU e GPU AMD si appoggia infatti anch'essa a TSMC, rendendola vulnerabile all'aumento dei costi lungo tutta la supply chain. Per AMD, il rischio principale è l’erosione della competitività sui prezzi, elemento chiave per la sua crescita recente nel mercato dei server e dei data center, dove stava guadagnando quote importanti ai danni di Intel.
L’imposizione di dazi sulle componenti critiche - stimata in un aggravio sui costi tra il 10% e il 20% - costringerà AMD a scegliere tra due opzioni strategiche, entrambe problematiche: aumentare i prezzi e rischiare di perdere terreno competitivo, oppure assorbire i costi riducendo i margini già sottili rispetto ai concorrenti. L’impatto potenziale si estende anche al comparto consumer: Il mercato dei PC, già in fase di contrazione, è estremamente sensibile al prezzo, e un aumento dei listini potrebbe deprimere ulteriormente la domanda.
Da un punto di vista finanziario, considerando la guidance 2025 e i margini operativi dichiarati al 22-24%, l'impatto cumulato delle tariffe e delle restrizioni sull’export potrebbe ridurre il margine operativo di AMD di 2-3 punti percentuali, comprimendo l’utile netto annuo di oltre 500 milioni di dollari.5
Anche AMD subisce una revisione a ribasso del suo target price: se prima i più ottimisti vedevano un obiettivo di prezzo a 150$, con un consensus attorno ai 130$, oggi osserviamo il consensus medio scendere a 115$, mentre supporto e resistenza sono 85$ e 95$ rispettivamente. Con il titolo che si aggira attorno ai 90$ il rating buy è confermato, anche in questo caso, seppure con prospettive di crescita inferiori a NVIDIA.
L’impatto delle tariffe su Intel
Intel si presenta in una posizione relativamente più difensiva rispetto a NVIDIA e AMD, ma non priva di rischi. La strategia di internalizzazione produttiva ("IDM 2.0"), che prevede l’ampliamento degli impianti in Arizona e Ohio, dovrebbe ridurre nel lungo periodo la dipendenza da fornitori esteri e attenuare gli effetti dei dazi. Tuttavia, nel breve termine, Intel rimane esposta: alcuni dei suoi processori più avanzati (come Meteor Lake) dipendono da componenti fabbricati da TSMC e da operazioni di packaging effettuate all’estero. L’effetto immediato delle tariffe potrebbe quindi tradursi in un aumento dei costi diretti su una fetta rilevante della produzione attuale, stimato intorno all’8-10% dei costi di produzione per il 2025.
Secondo alcune previsioni di mercato, questo incremento potrebbe erodere fino a 1 miliardo di dollari dei margini operativi di Intel nel corso del prossimo anno, incidendo principalmente sulla divisione Client Computing Group (PC e notebook) e sulla nuova Foundry Services Division.
Un ulteriore problema riguarda il rischio di domanda: Intel ha appena iniziato a vedere segnali di ripresa sul mercato dei PC dopo anni di contrazione, ma l’aumento dei prezzi dovuto ai dazi potrebbe soffocare questa fragile ripresa . I consumatori, tradizionalmente sensibili al prezzo su PC e laptop, potrebbero ritardare ulteriormente l’aggiornamento dei dispositivi, mentre i clienti data center, alle prese con budget AI in espansione, potrebbero preferire soluzioni alternative più economiche.
A livello azionario, il titolo Intel ha già scontato parte di questi rischi: nelle settimane successive all'annuncio dei nuovi dazi, le azioni hanno perso oltre il 6%, segnalando la percezione di un futuro prossimo più incerto nonostante gli sforzi di reshoring.6
Intel, tra le azioni considerate, è quella che ha visto il ribasso delle stime minore, dovuto da una situazione non rosea dal principio: il target price medio è sceso da 25$ a 22,63$, con il titolo che ad oggi si attesta sui 20,59$. Con un primo supporto a 19$ e una prima resistenza 22,00$, il rating complessivo degli analisti è “Hold”, quindi è consigliato mantenere il titolo in portafoglio.10
Contrariamente a quanto ci si aspettasse, le politiche di made in USA non hanno giovato affatto ad Intel, che ora si trova in una situazione scomoda e rischiosa, dopo aver affidato la produzione dei suoi nuovi processori a TSMC proprio prima dell’entrata in vigore della linea dura sugli import.
Rischi sistemici: margini, R&D e supply chain
Le tensioni commerciali in corso stanno rapidamente facendo emergere rischi che vanno ben oltre i bilanci delle singole aziende. Il primo, forse più immediato, riguarda la pressione sui margini operativi. Con l'aumento dei costi lungo tutta la filiera - dai materiali grezzi fino all'assemblaggio finale - le imprese si trovano a un bivio: alzare i prezzi, con il rischio concreto di deprimere la domanda, oppure assorbire i rincari, comprimendo i margini. Nessuna delle due scelte è indolore.
Ma le conseguenze non si fermano qui. Anche la capacità di investimento in ricerca e sviluppo (R&D) rischia di subire un duro colpo. In un settore come quello dei semiconduttori, dove il vantaggio competitivo dipende dalla velocità dell'innovazione, ogni taglio ai budget di R&D rischia di tradursi in un pericoloso rallentamento tecnologico.
Infine, va considerato l'effetto sulle supply chain globali. Ricostruire intere filiere produttive a livello nazionale non è un processo rapido né economico. Decenni di globalizzazione hanno reso la produzione dei semiconduttori una rete intricata e interdipendente, difficile da riorganizzare nel breve termine. La dipendenza da paesi asiatici per fasi chiave, come il packaging avanzato, rimane un punto di vulnerabilità.7
Prospettive future e resilienza
Nonostante il contesto sfidante, le principali aziende stanno tentando di costruire un argine alla nuova instabilità. Intel, per esempio, ha accelerato il suo piano di rilocalizzazione produttiva con il progetto "IDM 2.0", che punta a creare nuove fonderie negli Stati Uniti e in Europa. Un'iniziativa ambiziosa che, sebbene non dia risultati immediati, mira a ridurre drasticamente la dipendenza da fornitori esteri.
Anche AMD si muove nella stessa direzione, cercando di diversificare la propria supply chain con nuovi partner produttivi, mentre NVIDIA sta puntando su architetture customizzate, pensate per soddisfare mercati meno soggetti alle restrizioni statunitensi.
Su un fronte più ampio, è probabile che assisteremo ad una progressiva regionalizzazione della produzione: più stabilimenti negli Stati Uniti, in Giappone e in Europa, spinti anche dagli incentivi governativi come il CHIPS Act americano. Ma il percorso sarà lungo. Nel frattempo, le aziende dovranno navigare tra margini più sottili, volatilità dei costi e una domanda hardware che rischia di perdere slancio.
Conclusione
Le politiche protezionistiche adottate dagli Stati Uniti nel settore dei semiconduttori mirano a rafforzare la leadership tecnologica nazionale e a garantire la sicurezza economica. Tuttavia, gli effetti collaterali di queste misure - tra cui l'aumento dei costi, la frammentazione delle catene di approvvigionamento e le difficoltà nell'accesso a mercati chiave come la Cina -— stanno mettendo a dura prova le fondamenta della supremazia americana, proprio in un momento in cui l'intelligenza artificiale e il cloud computing richiedono investimenti significativi e rapidità nell'innovazione.9
Sebbene le principali aziende del settore stiano implementando strategie di resilienza, come la diversificazione delle supply chain e l'espansione della produzione domestica, resta da vedere se queste iniziative saranno sufficienti e tempestive per contrastare le sfide attuali. Nel frattempo, il rischio che gli Stati Uniti cedano terreno nella competizione globale dei chip non è trascurabile.
Le reazioni dei mercati finanziari riflettono queste preoccupazioni: le azioni di aziende come NVIDIA, AMD e Intel hanno subito fluttuazioni significative in risposta alle nuove tariffe e restrizioni. Ad esempio, le azioni di NVIDIA hanno registrato un calo del 16,5% dall'inizio dell'anno, in parte a causa delle nuove restrizioni all'export verso la Cina. Tuttavia, recenti dichiarazioni del Presidente Trump su una possibile riduzione delle tariffe hanno portato a un temporaneo rialzo dei titoli del settore.8
In questo contesto, la credibilità e la coerenza delle politiche governative diventano cruciali. Decisioni impulsive o comunicazioni contraddittorie possono amplificare l'incertezza e compromettere la fiducia degli investitori e degli operatori del settore. È essenziale che le future politiche siano guidate da una visione strategica chiara e da un impegno costante nel sostenere l'innovazione e la competitività dell'industria dei semiconduttori.
Bibliografia
Crediti
Autore: Gianluca Elli - Associato Area Editoriale
Impaginazione e grafiche: Simone Triozzi - Head Area Comunicazione
Caporedattore: Alessandro Liberati - Head Area Editoriale
