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Il (vero) costo del Superbonus: tra opportunità, frodi e sostenibilità

di Alessandro Bottoni

Storia del provvedimento

Il 19 maggio del 2020 il Governo Conte ll introduce, attraverso il Decreto Rilancio, il Superbonus 110%: una detrazione fiscale del 110 per cento volta a rilanciare un settore particolarmente in crisi, quello edilizio. La misura intendeva finanziare gli interventi che miravano all’efficientamento energetico o all’adeguamento antisismico di quasi la totalità del patrimonio immobiliare italiano.

Inizialmente il provvedimento aveva una scadenza fissata al 31 dicembre 2021, poi prorogata dal governo Draghi - in cui il Movimento 5 Stelle era il partito con più rappresentanti - e successivamente dal governo Meloni fino al 31 dicembre 2025 attraverso le Leggi di Bilancio 2021 e 2022.

Nel 2022 il Ministro dell’Economia e delle Finanza del governo Draghi, l’indipendente Daniele Franco, afferma che l’effetto sul debito pubblico rischia di essere “stratosferico” (non in positivo, evidentemente). Ne nasce un acceso tira e molla interno: da un lato Draghi e i tecnici provano a limitare i danni, con l’intenzione ad esempio di escludere le villette private, o di imporre un tetto massimo di reddito per accedere alle detrazioni; dall’altro Lega e M5S (questi ultimi i fautori principali del provvedimento) si dichiarano assolutamente contrari, definendo queste modifiche “assurde” e non negoziabili.

Draghi cede su questi punti, riuscendo a strappare però due magre vittorie: la limitazione della cessione del credito d’imposta e l’introduzione di aliquote decrescenti fino al 2025. Inoltre, con il Decreto Antifrodi di novembre 2021 (poi incorporato anch’esso nella Legge Bilancio 2022), il governo mette in campo misure più rigorose per contrastare le truffe.

Infine, nel 2023 il governo Meloni pone fine al Superbonus come misura di massa: per i nuovi interventi vengono bloccati definitivamente la cessione dei crediti e lo sconto in fattura, lasciando il bonus in vigore solo per i lavori già avviati o per alcune categorie eccezionali."

 

Come funzionava il Superbonus?

In forma originale il Superbonus 110% riconosceva al contribuente che ne sostiene l’onere un bonus pari al 110 per cento della spesa affrontata. Il contribuente poteva optare per tre diverse modalità di agevolazione:

  • Detrazione delle spese in dichiarazione dei redditi ripartita in cinque quote annuali di pari importo;

  • Sconto in fattura, ossia uno sconto immediato praticato dal fornitore, che si faceva rimborsare dallo Stato attraverso un credito d’imposta (cedibile);

  • Cessione del credito a terzi: la cessione poteva essere disposta in favore dei fornitori dei beni e servizi necessari alla realizzazione degli interventi, o di altri soggetti quali istituti di credito, intermediari finanziari e altri.

Detto più semplicemente chi usufruiva di questo bonus veniva rimborsato attraverso un credito nei confronti dell’erario. Essendo il credito spesso superiore all’ammontare delle tasse che il cittadino avrebbe pagato a fine anno, questo veniva spalmato in più anni.

Tuttavia, il cittadino poteva anche ricevere uno sconto immediato in fattura - dunque non sborsare nemmeno un euro - mentre l’azienda fornitrice riscattava il credito sotto forma di detrazione fiscale. Entrambi gli agenti, il cittadino e l’impresa, potevano cedere il credito a terzi, perlopiù banche. Come insegna qualsiasi manuale di macroeconomia, la cessione di un credito avviene nella quasi totalità delle volte a prezzo scontato, per via di vari limiti, fra cui il costo opportunità, l’inflazione, e il limite di riscatto temporale (inizialmente la detrazione dell’importo avveniva in quattro o cinque quote annuali).

Dunque gli acquirenti dei crediti (le banche) acquistavano a prezzo scontato, ad esempio Banca Intesa San Paolo acquistava i crediti ad un prezzo fra il 70 e l’85 per cento dell’ammontare del credito stesso.

Questo meccanismo di cessione ha fatto sì che i cittadini accedessero copiosamente all’iniziativa del governo vendendo poi i crediti alle banche, le quali hanno di conseguenza avuto accesso ad una nuova posizione di rendita. Proprio questo meccanismo ha contribuito, almeno in parte, ai famosi extraprofitti di cui si è parlato negli scorsi quattro anni. Suppone Pagella Politica, attraverso stime approssimative ma conservative, che la sola Banca Intesa San Paolo, abbia fatto utili per 400 milioni di euro nel 2023.

Il governo Draghi si è focalizzato sulla riduzione di questo meccanismo di cessione del credito d’imposta e sull’introduzione del sistema di aliquote decrescenti, grazie al quale il bonus è stato ridotto al 90 per cento nel 2023, al 70 per cento nel 2024 e al 65 per cento nel 2025.

 

L’economicità del Superbonus

Inizialmente il governo ha stimato un onere di circa 35 miliardi di euro sull’intero orizzonte temporale. Questa cifra, date anche (ma non solo) le varie proroghe, è stata poi nettamente sforata: ad aprile 2025 il costo totale stimato per le sole detrazioni maturate per lavori conclusi supera i 126 miliardi di euro (report Enea 2025).

Bankitalia stima che il Superbonus, insieme al Bonus Facciata, sia costato più di 170 miliardi nel solo triennio 2021-23, ammontando a circa il 3% del PIL del periodo.

Dallo stesso istituto emerge un altro dato preoccupante: il moltiplicatore fiscale è stato inferiore all’unità, ovvero «i benefici per il complesso dell’economia in termini di valore aggiunto sono stati più bassi rispetto ai costi sostenuti per le agevolazioni».

 Bankitalia conclude sottolineando la mole di debito pubblico aggiuntivo, da ripagare in futuro dalle nuove generazioni.

Questo ha reso palese che la misura non “si ripaga da sola” cosa che disse Conte citando un rapporto Censis del 2022 che aveva evidenti conflitti di interesse, essendo stato coprodotto con associazioni rappresentanti le imprese nel campo dell’edilizia e con una società di consulenza attiva nel settore dell’efficientamento energetico.

Quel rapporto sostenne che il 70 per cento del costo lordo sarebbe rientrato sotto forma di maggior gettito fiscale. Valutazioni più recenti e indipendenti come quelle di Bankitalia e dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, ridimensionano questa cifra, sottolineando come il bonus rimanga in gran parte a carico dello stato.

A consuntivo, la NADEF 2023 ha dovuto rivalutare al rialzo il disavanzo previsto per contabilizzare un “extra-deficit” di circa 39 miliardi di euro (1,8% del PIL) attribuito principalmente al Superbonus.

A livello occupazionale va segnalato che si sono verificati effetti importanti nel breve termine: secondo il rapporto Nomisma nel solo biennio 2021-22, sono stati creati oltre 640.000 posti di lavoro aggiuntivi nel settore dell’edilizia, a cui se ne aggiungono circa 350.000 nei settori adiacenti. A dovere di cronaca bisogna ricordare che oltre a pubblicare studi sugli impatti economici del Superbonus, Nomisma offre servizi di consulenza attraverso "Nomisma Opera", una divisione che supporta condomini, imprese e famiglie nelle procedure relative all'erogazione del Superbonus, inclusa la cessione dei crediti d'imposta. Questo doppio ruolo ha sollevato preoccupazioni circa la possibilità che le analisi prodotte possano essere influenzate dagli interessi commerciali della società.

Anche l’ISTAT ha comunque registrato un incremento delle occupazioni a doppia cifra nel settore delle costruzioni nel 2021.

Va però segnalato che questo boom di occupati, che indubbiamente si è verificato, è per lo più temporaneo: già nel 2023 a seguito dei primi tagli al bonus, si è osservato un vertiginoso calo nei nuovi lavori avviati che va di pari passo con la riduzione degli incentivi fiscali. Inoltre, sottolinea Enrico Campanelli di Cresme, dal 2023 si sta verificando una contrazione del lavoro regolare e un aumento del lavoro sommerso nel settore. Questo indica chiaramente che l’esplosione del numero di posti di lavoro era causata semplicemente dall’iniezione di liquidità nel mercato e non da una crescita strutturale e sostenibile del settore dell’edilizia e della transizione energetica.

Organizzazioni del settore, come ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili), hanno segnalato che decine di migliaia di imprese e fino ad un milione di lavoratori potrebbero essere a rischio dopo la chiusura del “cantiere Italia” finanziato dai bonus.

Dunque gli effetti espansivi sul PIL e sull’occupazione causati da questa riforma rischiano non solo di esaurirsi a breve, ma addirittura di invertire la rotta, lasciando però in eredità il macigno del debito aggiuntivo.

Le ultime previsioni macroeconomiche dell’economia italiana fatte dalla Commissione Europea confermano questo scenario:

 “…the debt ratio is set to rise over the forecast horizon, driven by the lagged impact of housing renovation tax credits accrued in the deficit until 2023.” Dunque “il rapporto debito/PIL italiano aumenterà spinto dall’impatto ritardato dei crediti d’imposta per le ristrutturazioni edilizie maturati nel disavanzo fino al 2023.

Si ricorda, a tal proposito, che Eurostat ha chiarito come i crediti d’imposta vanno contabilizzati come spesa nel momento in cui sorgono, non nel corso degli anni di detrazione.

 

Impatti ambientali

Il Superbonus rientrava nel più ampio Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che tutt’ora pone fra gli assi principali la transizione energetica. In effetti, il Superbonus 110% ha effettivamente raggiunto e superato alcuni dei target quantitativi prefissati, fra cui:

  • A metà 2023, erano stati riqualificati 17,58 milioni di metri quadrati, superando il traguardo intermedio previsto.

  • Entro agosto 2024, quasi 500.000 edifici avevano beneficiato del Superbonus, superando l’obiettivo dei 100.000.

  • La riduzione delle emissioni di gas serra è stata stimata in 1,42 milioni di tonnellate di CO₂ all'anno, più del doppio rispetto agli obiettivi fissati per il 2026.

  • Nel solo 2022, l'incentivo ha contribuito all'aumento della produzione di energia solare, incrementando la potenza fotovoltaica nazionale di 1,6 GW.

Le previsioni iniziali erano però in linea con un investimento complessivo di 36,55 miliardi di euro, ben lontani dai 170 miliardi effettivi fin qui spesi.

L’impatto ambientale complessivo è stato giudicato modesto da analisti indipendenti, considerando soprattutto la spesa fatta e il numero di immobili che sono stati migliorati: poco più di 500.000 su 12 milioni totali sul territorio nazionale, dunque il 4% del patrimonio immobiliare italiano. Facendo un rapporto elementare sorge spontaneo il seguente dubbio: se dovessimo intervenire sul restante 96% degli immobili dovremmo spendere 4 mila miliardi?

Anche la Corte dei Conti, già nel 2022, criticava il Superbonus per la scarsa efficacia nella riduzione di emissioni, nonché per la componente distorsiva economica.

Nel Documento 467 della VIII Commissione Ambiente della Camera (seduta del 19 marzo 2025), tra le audizioni svolte risalta quella di Davide Chiaroni, professore ordinario di Strategia e Marketing presso il Politecnico di Milano e vicedirettore di Energy & Strategy. Chiaroni osserva che, in termini di costi, la riduzione di CO₂ ottenuta è costata circa dieci volte il benchmark ETS (il prezzo di mercato europeo per tonnellata di CO₂), anche a causa del picco di domanda in un arco temporale troppo ristretto che ha innescato rincari

 dei prezzi; per tale motivo in futuro saranno auspicabili incentivi con orizzonti di tempo più lunghi e stabili per evitare shock di domanda.

In sintesi, sebbene il Superbonus 110% abbia dato un impulso senza precedenti alla riqualificazione energetica, migliorando migliaia di condomini, il rapporto costi/benefici sembra pendere ancora in larga parte verso i primi.

 

 Impatti sociali - accesso al bonus, disuguaglianze e mercato immobiliare

Anche dal punto di vista sociale il Superbonus ha sortito effetti ambigui: da un lato, grazie allo sconto in fattura e alla cessione del credito, ha permesso anche ai proprietari con scarsa liquidità o redditualità - dunque alle fasce medio-basse della popolazione - di effettuare lavori ingenti senza esborso di denaro. Dall’altro lato diverse analisi indipendenti hanno evidenziato come la misura abbia in fin dei conti avvantaggiato soprattutto la fascia di popolazione più abbiente. Secondo uno studio Nomisma sul profilo socio-economico, i beneficiari erano “…nuclei familiari con un lavoro e un reddito di rilievo, che vivono in grandi centri abitativi. Questa divaricazione diventa ancora più evidente se si osservano coloro che riescono effettivamente ad accedere al bonus: le famiglie che ce la fanno sono quelle ‘ben equipaggiate’ con determinate caratteristiche (titolo di studio elevato, attività imprenditoriale, reddito alto) e non erano questi gli obiettivi iniziali."

Tra le critiche più diffuse vi è infatti l’accusa di scarsa equità del Superbonus, per diversi motivi. In primo luogo, l’accesso era riservato esclusivamente ai proprietari di immobili, escludendo così gran parte dei giovani e delle famiglie a reddito medio-basso. A ciò si aggiungeva l’obbligo, in molti casi, di trasferirsi temporaneamente durante i lavori — un vincolo che ha spinto molti a limitarsi a ristrutturare soltanto la seconda casa. Infine, il complesso iter burocratico e le continue modifiche normative hanno reso praticamente indispensabile il ricorso a consulenze specialistiche, un costo aggiuntivo che chi dispone di risorse più limitate fatica a sostenere. In sostanza c’è stato un forte elemento di iniquità orizzontale: la totalità dei contribuenti finanzia una misura che aumenta il valore di asset detenuti principalmente dai ceti più ricchi, il che ha implicazioni distributive importanti (motivo per cui durante il governo Draghi, si era provato a imporre un tetto massimo ISEE).

Dal punto di vista territoriale c’è stata invece una distribuzione abbastanza omogenea, il 44% circa degli investimenti è stato nel Nord, il 34% nel Sud e il resto nel centro Italia. Tuttavia, la spesa pro-capite rimane più alta nelle regioni economicamente più floride (come Veneto e Lombardia), dove il valore assoluto degli interventi è risultato maggiore.

 

 Criticità

Ha fatto particolarmente scalpore l’effetto degli “esodati del Superbonus", ovvero quella categoria di persone rimaste intrappolate nei cambi normativi mentre i lavori erano in corso. In particolare, a febbraio 2023 lo stop improvviso della cessione del credito ha provocato gravi problemi di liquidità nel sistema: si stima che oltre 10.000 privati si siano trovati con la casa inagibile e i cantieri bloccati, per via dello stop di iniezione di denaro da parte delle banche. Questo episodio mette ancora una volta in luce la mancanza di tutela verso i soggetti più fragili.

Fra le varie criticità, forse le più facilmente anticipabili erano le frodi: la combinazione di un’intervento estremamente generoso, la cessione del credito e l’assenza di un incentivo alla contrattazione (essendo rimborsato del 110 per cento, il cittadino non aveva interesse nel verificare che i prezzi fossero congrui) hanno ovviamente attratto operatori disonesti. Il colonnello della Guardia di Finanza Marco Thione, in un’audizione parlamentare del 2023, ha riferito che in circa 15 mesi ci siano stati sequestri di crediti inesistenti per oltre 3,7 miliardi di euro relativi ai bonus edilizi. Nella stessa sede il Comandante Generale Zafarana ha indicato che il 98 per cento delle frodi scoperte riguardava operazioni precedenti al Decreto Antifrodi, confermandone così l’efficacia.

Francesco Corsello e Valerio Ercolani, economisti della Banca d’Italia, sottolineano in seguito come l’eliminazione della co-partecipazione di spesa da parte del beneficiario finale, dunque l’eliminazione del normale contrasto di interesse fra chi compra e chi vende, abbia causato poco oltre la metà (7%) dell’inflazione nel settore delle costruzioni (13%) fra settembre 2021 e dicembre 2023.

Vi è inoltre la sopracitata problematica della complessità normativa che ha generato un fiorente mercato di consulenze specialistiche, rendendo di fatto indispensabile il ricorso a professionisti: un onere aggiuntivo che ha svantaggiato chi disponeva di risorse limitate. Allo stesso tempo, molte Pubbliche Amministrazioni locali, subissate dalle richieste di condono o sanatorie di piccoli abusi edilizi (preclusivi all’accesso al bonus), hanno mostrato una limitata capacità di gestione.

La lezione, per quanto prevedibile, è chiara: incentivi di tale complessità e portata richiedono strutture amministrative solide e ben coordinate, regole stabili, procedure snelle e – soprattutto – analisi costi-benefici trasparenti e realistiche, svolte a priori e sganciate da logiche politiche o interessi privati.

In definitiva, l’eredità del Superbonus resta controversa: se è indubbio il valore degli incentivi ecologici, altrettanto imprescindibili sono l’equilibrio e la sostenibilità delle misure per garantirne l’efficacia nel lungo termine.

 

 Fonti

 

Crediti

Autore: Alessandro Bottoni – Associato Area Editoriale

Caporedattore: Alessandro Liberati – Head Area Editoriale